Considerazioni su ITC e agricoltura

di Luigi Franco

febbraio 2005

 

Quale laureato in Scienze Agrarie e vecchio amico dello stimato Prof. Gianni Rinaudo,vorrei introdurmi,sia pur tardivamente,nel dibattito da lui sollecitato,che mi auguro abbia suscitato vasta eco nel mondo della scuola e non solo.

Personalmente trovo quanto mai pertinente l’accostamento tra agricoltura e ICT,malgrado l’apparenza che non vedrebbe nessi se non in termini tecnico-funzionali,essendo la prima un comparto residuale omologato e integrato nel sistema industriale,e le seconde un settore di punta pervasivo ma senza particolari agganci con quello un tempo definito “primario”. Non viene naturale l’abbinamento tra un’attività economica vecchia di diecimila anni e queste nuove tecnologie che restano sconosciute a molti nelle loro applicazioni attuali, e ai più nei loro possibili sviluppi e smisurate potenzialità.

La società dell’informazione e della rivoluzione digitale, dove si affacciano prospettive come la Super Rete, le interfacce a onde cerebrali, le mems dust o i nanocomputer quantici, affective e defect tolerant, e dove sempre più il sapere e l’aggiornamento diventano strategici o addirittura condizione di sopravvivenza, è infatti anche quella del digital divide , dell’analfabetismo informatico,sottoinsieme dell’ingiustizia universale.

Alla scuola spetta certo di contribuire a colmare questi gap,nell’ambito del suo più generale compito di “insegnare a imparare”,di trasmettere quella libido sciendi che proprio le ICT promettono di soddisfare come mai prima. Esse sembrano infatti rendere di nuovo attuale il sogno enciclopedico degli umanisti,già reso obsoleto dall’immane inflazione e frantumazione dei saperi.

Ma per approssimarsi davvero a quel sogno,e sventare nel contempo il rischio che Internet & c. accrescano ulteriormente la tendenza a uno stile di vita sedentario-virtuale-astratto,è necessaria una drastica svolta culturale che trasformi le forme sociali sia dell’apprendimento che della produzione.

Essendo quest’ultima,almeno in Occidente,largamente eccedente e votata allo spreco,sarebbe giusto ridimensionarla ed eventualmente demeccanizzarla,orientandola ad un’alta intensità di lavoro: ciò non sarebbe in contraddizione con la lungamente auspicata (e disattesa) “fine del lavoro”,in quanto quello salariato e alienato sarebbe sostituito da un lavoro volontario,ludico,comunitario e “istruttivo”.

A fianco delle necessarie specializzazioni e ipertecnologie,le attività agricole, artigianali,artistiche, ecc., associate alla formazione permanente assorbirebbero la maggior parte della manodopera di tutte le età (e le provenienze),azzerando al tempo stesso la disoccupazione e l’ignoranza. La quale sarà talora apprezzabile e in ultima analisi inevitabile,ma è spesso causa di infelicità e sciagure.

Condizioni di vita naturali e a misura d’uomo,tali da permettere di superare le antinomie pre-/ postindustriale,lavoro/ tempo libero,locale/globale,individuale/collettivo , favorirebbero un diffuso,paritario e continuo scambio di conoscenze e competenze, in un’unione a tempo pieno di “pratica” e “grammatica”.

In questa prospettiva,dove tutti avrebbero modo di cimentarsi e alternarsi in tutti i mestieri utili e creativi, “dalla pesca alla critica d’arte” (Grundrisse),l’agricoltura sarebbe comunque quello prevalente,con una sensibilità all'”architettura del paesaggio” tale da trasformare in un giardino l’intera superficie del pianeta. E accanto al lavoro manuale,ai momenti di festa e a tutte le dimensioni di una socialità liberata e fraterna, troverebbero ampio spazio,appunto,le ICT,l’e-learning,l’e-democracy,l’e-chi più ne ha più ne metta…

Anche… le “videoconferenze ultrafotoniche in collegamento intergalattico”: perché questa visione,che presupporrebbe un Congresso del Mondo,una federazione globalizzata di villaggi autogestiti o qualcosa del genere,a cavallo tra l’Arcadia e l’Arca di Lanza del Vasto,tra Pasolini e Pol Pot,sembra situarsi in un futuro tanto remoto quanto improbabile.

“Chiunque parli il linguaggio dell’utopia mi è estraneo quanto un rettile di un’altra era”,diceva Cioran. Non l’avevo mai condiviso,ma ora un po’ sì.

Alba,8/02/05 (Carnevale)
Luigi Franco

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