MEMESI e agricultura. Principi di etica agraria

di Luigi Franco

11 settembre 2004

Ha detto Garaudy,e forse Platone o altri prima,che l’estetica è l’etica dell’avvenire. La frase mi torna in mente osservando,nelle campagne in primavera,alternarsi, al verde dei prati o del grano in levata,il giallo livido o il grigio delle zone di diserbo chimico o meccanico.

Se oggi la prima di queste pratiche incontra qualche diffidenza,raramente si propone,in alterna- tiva alla seconda,l’inerbimento,proprio sulla base di criteri estetici: sotto tale profilo, l’aspetto complessivo del territorio ne trarrebbe grande giovamento(senza per questo arrivare agli estremi, ad esempio,della rivoluzione del filo di paglia di Fukuoka).

Questo implicherebbe politiche agricole inserite in una pianificazione generale del paesaggio mirata a farne,se non un arcadico eden,comunque un universale giardino.

Tale inversione di tendenza richiede però una rinnovata sensibilità o,a dirla con Roberto Vacca, un Rinascimento prossimo venturo. Come è necessaria una mutazione gen-etica in senso nonviolento per scongiurare l’autodistruzione dell’umanità,così è augurabile l’avvento del meme di un superiore livello etico-culturale,la memesi di un nuovo,più illuminato Illuminismo.

Nel suo Mindsteps to Cosmos l’astrofisico Hawking ricapitola i quattro “gradini di consapevolezza” che hanno condotto all’attuale era spaziale,individuando il quinto nel futuro incontro con civiltà ali- ene, e il sesto nell'”era dello spirito”: identificabile,appunto,con la “rivoluzione poetica” (poetica?), ovvero memetica, che si dischiude all’alba del terzo millennio. Per scorgere il potenziale ruolo privilegiato della campagna in questa prospettiva,basta pensare al Sud del mondo dove,con adeguate riforme,le masse inurbate potrebbero tornare ad occupazioni più dignitose nella dimensione del villaggio,grazie all’opera capillare di schiere di professori scalzi o neo-rapsodi dell’alfabetizzazione telematico-artigianale.

Ma neanche in Occidente è da escludere un “ritorno del rimosso” comunardo-sessantottino che ria- nimi ideali troppo sbrigativamente archiviati come utopici.

A tale scopo, proverei a suggerire un decalogo ad uso dei futuri contadini neorinascimentali:

  1. Non avrai per idolo la cieca Produzione funzionale al consumismo.
  2. Non inquinare il pianeta né la mente.
  3. Ricordati di alimentare il memoma umano.
  4. Onora tutti e arricchiscili di coscienza.
  5. Non uccidere o maltrattare neanche gli animali.
  6. Non disperdere la cultura locale pur essendo cittadino del Villaggio globale.
  7. Non rubare al Terzo Mondo prossimo e lontano,o alle generazioni a venire.
  8. Non rassegnarti alla falsità e alla stupidità.
  9. Non desiderare se non ciò che anche gli altri possono avere.
  10. Desidera e lavora per la felicità condivisa.

 

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