Le luci della campagna

di Luigi Franco

11 settembre 2004

Quella sua idea che le cose bisogna capirle,aggiustarle,che il mondo è malfatto e che a tutti interessa cambiarlo…Ma io sapevo che soltanto le stagioni contano…(Pavese,La luna e i falò)

Chi ha detto che solo nelle città dilagano la droga e la disgregazione? Conosco almeno due tipi di droga pesante diffusa anche tra la gente di campagna,soprattutto tra i giovani.

Il primo è l’ASCISC,l’Assenza di Stimoli Culturali Immuni da Spirito Consumistico: dà assuefazione perché rende incapaci di ribellarsi,e addirittura di accorgersi ancora di questo vuoto,di questa penuria organizzata,questa miseria spirituale: la terribile scarsità di strutture iniziative socialità,che non siano solo merci sul mercato dell’alienazione o sporadici palliativi staccati da ogni contesto di comunità e convivialità.

Soprattutto nei piccoli centri mancano spesso anche cose modeste come l’occasione di un buon film,una gita,un gruppo teatrale o musicale,un centro d’incontro giovanile,ecc. La seconda droga che sta contagiando anche le zone rurali è la COCAINA,ovvero la Coscienza Arresa all’Infelicità,insieme a Lucida Sorella Disperazione: quest’ultima è una sostanza da élite,roba da esteti decadenti e ombrosi,solitari poeti-contadini.

Pasolini dice che “la droga è figlia della mancanza di cultura” (Scritti corsari),e che “al raffinato e al sottoproletario spetta / la stessa ordinazione gerarchica / dei sentimenti: entrambi fuori della storia, / in un mondo che non ha altri varchi / che verso il sesso e il cuore” (La religione del mio tempo): l’energia vitale è tutta convogliata nell’angosciosa contemplazione della terra desolata. Il tossicomane della depressione fugge a volte le luci della città,sparse dalla nera mano del Capitale,per quelle della campagna: poche lucciole superstiti,patetici lampioni lungo le provinciali,rari fari di auto.

Dai casolari non ancora spenti,il bagliore fluorescente della televisione. E se al fondo delle borgate fantasma appare un’aia animata da un gioco di bocce,un’osteria con un coro di vecchi,un falò,non fanno che crescere lo sgomento per la vertiginosa irreparabilità di tutto: non sono che irrisori indizi,allusioni a ben altre vite possibili ma eluse,negate.

Ma anche di un mondo così impoverito,così malfatto ,e così difficile da cambiare, non ci si può saziare: Non ci si può saziare del mondo, / Mehmet,non ci si può saziare… Morirò nel paese dei miei sogni. (N.Hikmet) Anch’io,come Guido Ceronetti,vorrò per epitaffio il Baudelaire del Rève d’un curieux: “Beh,tutto qui? Il sipario era alzato / e io aspettavo ancora”.

 

(Cronache albesi,5 luglio 1982)

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